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sabato 1 maggio 2010

"La minaccia fantasma", "L'attacco dei cloni", "La vendetta dei Sith": videorecensioni

Sul sito www.redlettermedia.com, il fantomatico Plinkett recensisce, con un mix originale di sguaiata e demenziale ironia e acuta analisi narrativa e formale, i tre episodi della seconda trilogia di Guerre Stellari: La minaccia fantasma, L'attacco dei cloni e La vendetta dei Sith. Da vero fan nerd della prima trilogia (episodi IV, V e VI), Plinkett demolisce il nuovo exploit di George Lucas con passione e autoironia. Le recensioni sono dei veri e propri "documentari critici", uno di 70', uno di 90' e uno di 110', che raramente annoiano e colgono con lucidità la natura di pura operazione di marketing dei prequel.
Al momento sono disponibili solo in lingua originale senza sottotitoli.
Le recensioni:
redlettermedia.com/plinkett/star-wars/

Sul sito anche gustose recensioni di altri film:
http://redlettermedia.com/plinkett/

sabato 15 dicembre 2007

Le promesse di Cronenberg


Il cinema di Cronenberg continua a sconcertarmi, non c'è che dire. Rimango sempre ammirato e sorpreso di come ogni volta questo autore riesca a trovare una sintesi spiazzante tra la forma "raggelata" che tanto predilige e la capacità di maneggiare testi di più largo consumo. Dopo un capolavoro come A History of Violence ecco un altro film di grande raffinatezza cinematografica: la metamorfosi ormai è entrata dentro la carne, e non ha più bisogno di uscire allo scoperto. Eastern Promises è un esercizio di stile e concettuale forse ancora più ardito del precedente, perché lavora più in superficie di quanto faceva l'altro. So che può sembrare una contraddizione, ma questa mi è sembrata la sua forza intrinseca.

Adriano

sabato 24 novembre 2007

Pseudoarcheologia del brivido


L'altro giorno sono andato a vedere il Nascondiglio di Avati, devo dire non senza una certa commozione. Non capita tutti i giorni di poter vedere in pellicola un lavoro di gioventù di un grande maestro del cinema italiano; perdipiù un film sconosciuto ripescato dalle sabbie del passato in chissà quale rocambolesco modo e circostanza, un film di cui nessuno sospettava l'esistenza, e forse nemmeno lo stesso Pupi ne aveva ancora memoria. Io sono cresciuto a pane e Zeder, potete immaginarvi dunque l'emozione, un moto dell'anima che, sotto una pellicola di brivido ed euforia conteneva -ebbene sì- un germe di genuino affetto e tenerezza, come mi si palesava mentre vedevo quelle immagini vecchie di decenni illuminarsi sul telo.
Guardavo il film e mi rendevo conto che sì, in quell'opera ovviamente ancora acerba -per non dire acre- chi aveva la giusta sensibilità poteva senz'altro intuire temi e stili che poi il grande Pupi avrebbe saputo far decantare e distillare. Sono già in costruzione nel poderoso cantiere filmico che è la mente del nostro, le idee alla base del cosiddetto 'gotico padano' che prenderà vera vita con la Casa dalle finestre che ridono: nel Nascondiglio siamo ancora ad una fase immatura, sperimentale; Avati sente di stare cercando qualcosa di nuovo, sente questi nuovi colori che vogliono uscirgli dalle vene, ma non ha ancora lucidità e coraggio per l'intuizione che verrà, e cioè ambientare l'orrore in un contesto precipuamente italiano, anzi, regionale. Così ricalca mode e tendenze più timidamente mainstream e colloca il tutto nell' Iowa, USA, forse sperando nella benevolenza di numi tutelari di quelle latitudini.
Il soggetto stesso, inoltre, è una stilla di inquietudine, più che di paura vera e propria, niente più. Quella stilla, solitaria e senza alcuna strutturazione, diventa il cuore pulsante della vicenda, e tutto il resto dell'apparato narrativo è solo un morbido bozzolo di bambagia per incubare e coccolare quell'unica idea, quell'unico, timido brivido. Ma chi sa, chi conosce, e chi ha il senso del cinema di Avati, vede quel brivido implume e in qualche modo sente che germoglierà, che saprà prendere coraggio e vigore e, insediatosi in Emilia, trasformarsi in una vera progenie di incubi. Allora gli si perdona qualunque ingenuità, come la noncuranza per la gestione dei personaggi, due dei quali, una volta compiuto il loro dovere di 'incubare' la protagonista -che, allora sconosciuta, diventerà un volto via via sempre più noto del cinema italiano- vengono letteralmente tagliati via dal montaggio (o dalla sceneggiatura? chissà se esiste ancora o se è andata persa, pergamena marcita in qualche scaffale in qualche villa antica...), senza un saluto, senza una nota nemmeno in quella didasacalia finale, appena prima dei titoli, che è un ennesimo segno dei tempi giovani e immaturi di un cineasta che sta crescendo: e che di lì a poco se ne fregherà di cercare di convincere il suo pubblico che quello che sta vedendo sullo schermo 'potrebbe anche essere stato vero'.
Andate a vedere il Nascondiglio: andate a vedere coi vostri occhi come un autore si evolve da un passato in cui non gli avreste dato due lire, e finisce col diventare il regista del mio film horror italiano preferito (che no, caro Piero, per me non è Profondo Rosso...).
emanuele

lunedì 5 novembre 2007

A proposito dell’ingiusta stroncatura di La terza madre

Mi chiedo: che senso ha stroncare il meraviglioso urlo anarchico di Dario Argento, La terza madre, partendo dalle considerazioni sulla sceneggiatura e sulla recitazione degli attori? Quando mai il cinema di Argento si è interessato, in modo tradizionale, a questi elementi? In tutta la sua filmografia, a partire dagli esordi, ricorrono straordinarie voragini negli script, più radicali derive di senso che approdi conformistici verso il senso compiuto (e imposto). È anche questo che rende il (suo) cinema una magnifica ossessione: l’irrisolto, la mancanza, la deviazione (oltre che la devianza). Per il regista che ha scardinato i codici di un genere (che sempre, per la sua essenza politica e metalinguistica, non fa altro che rimettersi continuamente in discussione), che ha fondato nuovi regimi del vedere, ha sempre contato prima di tutto lo sguardo più che la narrazione; allo stesso modo ha sempre considerato gli attori non come portatori di senso attraverso l’arte della recitazione ma come veri e propri oggetti scopici, corpi-feticci donati generosamente al voyeurismo del regista e dello spettatore. Sempre, ed è virtù ormai rarissima nel cinema italiano, con onestà e limpidezza, totalmente alieno da qualsiasi furbizia, connivenza e (auto)compiacimento. Con divertimento. Con gioia e rivoluzione, citando gli Area. Tutto questo Argento lo ripropone nel suo ultimo capolavoro, La terza madre. Altro che il tempo si è fermato. Il tempo (della critica) forse è morto. Argento è vivo, più che mai.


Alessandro Gambino

domenica 4 novembre 2007

Non toccatemi Queen Cate!!!

Adoperiamo questo blog per uno dei motivi principali per cui è nato, e cioè promuovere il dibattitto (anche interno) su quanto pubblicato sul sito. La questione riguarda la recensione/stroncatura del grande Michele Alessandrelli di Elizabeth: the golden age: a prescindere dalla sua critica mossa alla pellicola - che non condivido del tutto ma accetto senza riserve - non posso però passargli il villipendio della grande ed istrionica interpretazione della Blanchett. E' vero che il film non è per palati fini e lavora molto sulla grana grossa, e così la sua protaoginsta, ma il carisma e la presenza di Cate sono inarrivabili. O Alessandrelli, che hai deciso di fare il raffinato in un contesto filmico che richiede la sciabola invece del fioretto?
Se non l'hai visto in originale, te lo consiglio caldamente. Io non ho visto la versione doppiata, ma sono pronto a scommettere che ci perde e di parecchio.
Attendo risposta, il guanto della sfida è lanciato.
Il tuo amato redattore romanista,
Adriano

sabato 27 ottobre 2007

Ai confini del mondo (e del cinema): Heima-Sigur Ros


Forse l'aspettativa era fuori misura e magari non era proprio il caso di aspettarsi un nuovo Live at Pompei o addirittura uno sguardo sulla natura alla Herzog. Però dispiace perchè il materiale di partenza di questo viaggio fra la musica e la terra dei Sigur Ros c'era. Un luogo, l'Islanda, che di per sé rimanda a un altrove siderale, mal restituito alla visione dello spettatore. A tratti più didascalico che evocativo, teso continuamente verso un lirismo puro che non riesce a raggiungere, in alcuni passi fastidiosamente formalista, il lavoro di Dean DeBlois cerca a tutti i costi la “bella immagine” con il risultato di inanellare, una dietro l'altra, una serie di cartoline patinatissime da magazine chic. Più vicino al lungo videoclip o a uno speciale di MTV che al cinema. Seppur cullati dalla psichedelia astrale della musica dei Sigur Ros, in alcuni passaggi talmente forte da trascinare lo spettatore verso un'estasi sensoriale, Heima sconta la più grave delle colpe al cinema: la mancanza di sguardo.

Alessandro Gambino

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore


L'anno scorso la sezione Extra della Festa ci aveva riservato la spiacevole fregatura di The Bridge. Quest'anno ci riprova con un documentario altrettanto disonesto e finto, Manda bala – Send a Bullet, ritratto di San Paolo in Brasile, città con il maggior numero di elicotteri privati ed auto blindate al mondo, dove la corruzione è un investimento economico e politico e i sequestri sono all'ordine del minuto. Tra mutilazioni alle vittime dei sequestri e ricostruzioni ad opera di un chirurgo plastico, lo sguardo furbo di Jason Kohn indugia morbosamente in dettagli tanto cruenti quanto palesemente falsi, con lo scopo esplicito di scioccare lo spettatore; e raggiunge il culmine, oltre che nella fotografia iper patinata, sia nell'intervista evidentemente fasulla ad un sequestratore, sia nella contrapposizione in campo lungo fra grattacieli e favelas, sempre inquadrate dall'alto, da lontano, senza sognarsi minimamente di entrare dentro quella realtà. Come si dice: lontano dagli occhi, lontano dal cuore...

Alessandro Gambino

Un'occasione mancata "for Mumia"


E' davvero un peccato. Lo aspettavamo fiduciosi di trovarci di fronte a un bel lavoro e invece In Prison My Whole Life, documentario prodotto da Colin Firth sulla vicenda di Mumia Abu-Jamal, ex leader del Black Panther Party da 24 anni nel braccio della morte, è un filmetto poco incisivo che sconta la pena di essere fazioso e quindi facilmente contestabile nei suoi contenuti di denuncia. Insomma, scuola Michael Moore ma senza quell'abilità registica e il feroce sarcasmo che hanno portato al successo mondiale il regista di Bowling a Columbine. Farcito di inserti direttamente mutuati dai fumetti e dai videoclip, tentativi estetizzanti e furbetti di elevarsi a stile, il film di Marc Evans può avere forse valore di testimonianza ma risulta esteticamente debole e dunque perde di efficacia sul piano politico. Un’occasione mancata per la sacrosanta lotta di sensibilizzazione per la causa di Mumia.

Alessandro Gambino

venerdì 26 ottobre 2007

Tutti pazzi per Juno!!!

Sarà probabilmente il film "indie" di questa stagione, e se lo merita in pieno. Scritto, diretto ed interpretato con una semplicità minimal che nasconde invece una vena ironica ed iconoclasta davvero sorprendente, riassunta nel personaggio della giovane protagonista, che si rivela uno dei più commoventi e sfaccettati degli ultimi anni.

Forse abbiamo trovato un nuovo autore in Jason Reitman.

giovedì 25 ottobre 2007

Reservation road


Con a disposizione un cast sulla carta eccezionale e una storia potenzialmente molto drammatica, era difficile tirar fuori un film così inerme e privo di pathos. Reservation Road non interessa mai, è troppo distaccato per arrivare al cuore. Ci si arriva ad annoiare, ed alla fine questa è l'unica cosa che intristisce...

mercoledì 24 ottobre 2007

Libertà ed utopia

Un cinema che parla di utopia è ancora possibile, forse addirittura doveroso. Ce lo ha dimostrato questa mattina Sean Penn con il suo sincero e commovente Into the Wild.
Lo ha fatto ben consapevole che si trattasse di utopia, quindi ci ha raccontato anche la fragilità di un'idea, che però non per questo non andava seguita fino in fondo.
Inutile parlare ancora di questo film, va visto.

martedì 23 ottobre 2007

La battaglia per la democrazia

Ecco lo spirito di Redford, che aleggiava ai tempi de Tutti gli uomini del presidente e che ritorna, preciso anche se un po' schematico, in questo suo ultimo Lions for Lambs. Da vecchio e saggio liberal quale è torna a ricordarci, a noi e soprattutto ai suoi compatrioti, che la guerra per la democrazia si combatte prima in casa propria, affermando libertà di pensiero (dall'omologazione) e libertà di informazione, e non su un campo di battaglia. Nulla di nuovo, certo, ma avere qualcuno che ogni tanto ancora vuole raccontarlo alla gente a me personalmente fa stare un po' meglio...

lunedì 22 ottobre 2007

Ratatouille

Un appello per chi lavora, o ha lavorato, in una cucina: andate a vedere Ratatouille. La Pixar – e con essa Brad Bird- ha superato se stessa, aggiungendo al realismo di un’animazione virtualmente perfetta (regia e piani sequenza da brivido: in una storia di topi!) il realismo dell’ambientazione, in tutti i sensi. Credo che sia il primo film in cui si vedono in atto alcune dinamiche, alcune tematiche, proprio così come sono nella realtà, dietro la porta della cucina di un ristorante, posto intriso di mistero e leggende da brivido. La gerarchia, la terribile ansia da performance, le sinergie tra cuochi che lavorano fianco a fianco, il maschilismo (nel film ovviamente solo accennato), il personalismo da star, il servilismo ipocrita verso la terribile critica specializzata. E poi di nuovo l’amore per la sperimentazione, la caccia agli aromi, l’estasi della loro combinazione, il colpo di genio della visualizzazione del sapore come un’armonia di colori e forme, la ricerca della finezza. C’è tutto. In una cornice narrativa che prende e può commuovere: il mondo della cucina - quella vera, che vuol dire tanto la trattoria che il bistrot da cinque forchette - è in un film d’animazione, che in tal senso si stacca forse da ogni altra rappresentazione cinematografica di questo folle e maledetto lavoro.

emanuele

La noia e la rabbia


Rispetto totale per Raul Ruiz, per il suo cinema eccessivo e barocco, per la sua visione brechtiana della messa in scena, per la libertà creativa che ha sempre dimostrato. Rispetto totale per la retrospettiva a lui dedicata, curata da Edoardo Bruno, all'interno della Festa. Ma Recta Provincia, ultimo lavoro del cineasta cileno presentato fuori concorso e in parallelo al tributo, è, con il dovuto rispetto, insostenibilmente noioso, vecchio e autoreferenziale.

Presunzione e deliri di onnipotenza autoriale. Mancanza assoluta di rispetto verso lo spettatore. Manierismo esasperato ed esasperante della messa in scena. Furbizia e colpi bassi. Vuoto totale mascherato da intellettualismo che mescola Jung e cultura misterica mediterranea. Ce ne eravamo accorti sei anni or sono con il deprimente Lucia y el sexo. Oggi torna, con l'irritante, a dir poco, Caotica Ana, (ahinoi, in concorso!) il regista (?) spagnolo Julio Medem. E conferma tutta la sua bassezza. Se un giorno dovesse trovare anche un minimo accenno di rispetto verso il pubblico, allora sarà quello il giorno in cui smetterà di fare film. Speriamo che arrivi presto.

Alessandro Gambino

Il blues dopo l'uragano


Riparte da uno sguardo amatoriale il sofisticatissimo Jonathan Demme in New Home Movies From The Lower 9th Ward, viaggio in un sobborgo periferico di New Orleans che inizia a un anno di distanza dal passaggio dell'uragano Katrina. Come se dopo la catastrofe, bisognasse ripartire da zero, raccontare tutto con un altro sguardo, rifondare la scrittura e la visione. Il newyorkese Demme questo lo sa bene. Più che la rabbia e la denuncia di When The Levees Broke di Spike Lee, per Demme conta ciò che rimane dopo e come lo si possa raccontare. La quiete dopo la tempesta, annunciano l'immagine iniziale dell'acqua calma illuminata dai bagliori dell'alba e della luna che risplende durante i titoli di coda. Due anni di abbandono come fossero un giorno. Lo sguardo di Demme cattura l'anima dei superstiti abitanti del sobborgo, di chi è ritornato per ricostruire, a partire dai primi piani dei loro volti che resistono e reggono quell'impatto che gli edifici e gli argini non hanno saputo reggere. Da questi appunti emergono delle tracce di vissuto, di memoria, da conservare e preservare nel tempo, come sosteneva Bazin, attraverso le immagini. Con la sofferenza e il respiro del blues che le accompagna. Non un dono ma una restituzione di dignità a tutti quelli a cui la dignità di cittadini e di esseri umani è stata negata.

Alessandro Gambino

Idea e storia


Due film visti questa mattina, Giorni e nuvole di Soldini e Noise di Henry Bean, quello del bellissimo The Believer. Il primo ha una storia, anche se minimalista, e la sviluppa con logica e coerenza (un miracolo per un film italiano...), il secondo ha soltanto un'idea e la vuole spacciare per storia, ma dopo venti minuti ci si inizia ad annoiare. Un cortometraggio sull'argomento sarebbe stato più appropriato.

Au revoir, Mr. Lumet

Ecco un altro grande regista americano che sembra aver definitivamente segnato il passo: ormai della generazione che ha fondato la "Nuova Hollywood" rimangono soltanto quelli che si sono adattati ai cambiamenti richiesti dall'industria. Pollack vacilla, Carpenter è sparito, Friedkin annaspa, ed adesso anche Lumet sembra aver deposto le armi. Si, anche lui, che è stato il massimo esponente di un tipo di cinema capace di coniugare ala perfezione impegno civile e spettacolo. Questo suo ultimo Before the Devil Knows You're Dead (Onora il padre e la madre), presetanto stasera alla Festa di Roma, è un'opera polverosa sia nella narrazione che nella messa in scena. Alla veneranda età di 83 anni, forse è ora di chiudere una carriera straordinaria. Ma IMDB riporta voci di un nuovo porgetto per il 2009. Mah...

domenica 21 ottobre 2007

Seta come piombo...
















Primo sberleffo a Seta, il film di Girard che trasforma il romanzo di Baricco da cui è tratto in un polpettone insostenibile, dove è didascalico pure lo sguardo carciofato di Michael Pitt, al vertice dalla sua fissità. Alla fine della proiezione l'unico desiderio è quello di prendere Sakamoto e spaccarlgi il pianoforte in testa.

Secondo e più grande sberleffo a Domenico Procacci, che non solo ha coprodotto una legnata del genere, ma si è anche regalato il cameo più imbarazzante dell'anno. Se non lo riconoscete non preoccupatevi: vi verrà svelato dalle risa in qualcuno in sala...

sabato 20 ottobre 2007

Coppola non Coppola


Di Francis Ford Coppola, o meglio di questo Youth Without Youth, si può ammirare il progetto, la libertà creativa con cui è stato concepito, non certo il risultato finale: a parte il solito Tim Roth, il film delude per la discontinuità della storia e per il disequilibrio. Il grande Francis, forse estasiato dall'idea di essere tornato dietro la macchina da presa, non si è reso conto che ciò che può funzionare sulla pagina scritta, quando trasformato in immagine può diventare ridicolo, se non trascritto in una forma narrativa adatta per il cinema. Troppa, troppa carne al fuoco, e troppe ambizioni filosofiche per un film che, se fosse stato visto anche dal regista in quel contesto tutto sommato "piccolo" che meglio lo identifica, sarebbe stato molto più intenso.

venerdì 19 ottobre 2007

La paura che ci piace

Probabilmente come l'ho visto io non lo vedrete voi. Primo giorno a Venezia, primo film, alle 22,00: [REC] di Balagueró. Quello, per capirci, dei fantasmi spagnoli: Nameless, Fragile, Para entrar a vivir (per quei pochi che l'anno prima, sempre a Venessia, l'hanno visto). Vabbè, spariamoci 'sti fantasmi spagnoli, mi dico...
75 (!) minuti da cardiopalma, che un mio amico e collega amante dell'horror seduto accanto a me quasi non reggeva fino alla fine. E manco uno spettro! [REC] è una trappola letale, che innesca una catabasi terrificante per un'ora, senza stacchi, senza rilasci della tensione, senza possibilità di rifiatare. Ogni tanto su Off-Screen ci divertiamo a prendere di mira l'horror che 'va un casino': tutto dolore e maciullamenti, o, all'estremo opposto, tutto fantasmi melò che soffrono (o gli rode di brutto) in case più o meno goticheggianti. Ecco: qui abbiamo la paura che la redazione di OS cerca e anela.
Guardatelo: al cinema. Non perchè sia un trionfo di alta definizione o di effetti speciali (però anche sul piano fx tutto va più che egregiamente), ma perchè dovete arrivare davanti a [REC] senza difese; vi deve piombare addosso come ha fatto con me. Anche se a me nessuno aveva anticipato nulla: l'ho visto in prima mondiale.
Se vi piace stare nudi di fronte al mostro, se vi piace quando vorreste chiedere una pausa, un attimo di respiro, ma ci godete in realtà a sapere che non vi verrà concesso, se anche voi avete sempre il timore che il finale rovinerà tutto. Allora premete [REC].
Ne riparleremo con calma.
emanuele

"Questa tensione è insopportabile. Speriamo che duri" E. Flaiano

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